28 set 2009

A che servono gli economisti


Leggo con interesse il dibattito sulla domanda del titolo: se l'economia non è in grado di prevedere le crisi, a che diavolo serve? Su LA VOCE mi ha molto colpito un recente intervento di Gilles Saint-Paul. Ad un certo punto vi si legge che:

Si potrebbe pensare che, se non prevedono le crisi, gli economisti sono inutili, ma sarebbe altrettanto ridicolo quanto affermare che i medici sono inutili perché non hanno previsto l'Aids o la sindrome della mucca pazza. Inoltre, anche se le normali previsioni sono di qualche utilità, non credo che sia l'attività per la quale gli economisti sono più utili: la valutazione delle scelte di politica economica e la discussione sulla base di principi delle cause di fenomeni osservati sono dal mio punto di vista ben più importanti.

Concordo, in senso generale, con questa "difesa", ma mi sorprende un certo qual "subdolo" attacco alla matematica che si nasconde anche nelle righe dell'economista francese...Infatti: la discussione, divampata con la crisi finanziaria di Ottobre scorso, è nata proprio da quanti hanno rimproverato all'economia, NELLO STESSO TEMPO, da un lato di indulgere un pò troppo all'uso di modelli matematici sofisticati (ma evidentemente non efficaci sul piano delle previsioni) e dall'altro di aver smarrito una visione storica-psicologica-sociologica PIU' GENERALE che si liberasse da "pesanti" e "complicati" formalismi di CALCOLO....
Alla fine, dichiarando l'umiltà della propria disciplina (..del che proprio non si direbbe, soprattutto sentendo i politici-economisti che credono di essere maghi Otelma, che come Tremonti..infatti, avevano capito tutto prima di chiunque altro), Saint-Paul scrive:
L'economia è un sistema estremamente complesso: comprenderlo appieno è oggi al di là delle nostre capacità intellettuali personali e collettive. Per il ruolo che vi hanno i principi in cui si crede, le istituzioni e altro ancora, il sistema è certamente più complesso di quanto lo sia descrivere l'evoluzione e la distribuzione della materia nell'universo, per esempio. E tuttavia i fisici hanno difficoltà a produrre un modello soddisfacente se hanno dovuto introdurre una “materia oscura” non osservata per rendere i dati compatibili con le loro teorie. E questo nonostante agisca una sola forza, la gravitazione. Non stupisce che noi economisti siamo dieci volte più “all'oscuro” dei fisici quando cerchiamo di capire le interazioni tra le molte forze che guidano l'economia.
Questo passaggio è un bel azzardo logico...E intanto il problema "analogo" descritto è fisico più che matematico! Si ha ancora l'idea, dunque, che le matematiche siano deterministiche e "meccaniche", "leggi di natura" adatte al mondo dove si sentono solatnto le forze gravitazionali (la meccanica quantistica che diavolo è?): mai sentito parlare, per caso, di Caos, Non Linearità, Catastrofi, Dinamiche di sistemi dissipativi? non sarebbe il caso che gli economisti si interroghino sulle matematiche "giuste" per capire i fenomeni delle crisi finanziarie correnti (e passate?).
Se gli economisti diventano umili, è bene anche che studino con maggiore impegno le singole discipline (prima di condannarle a priori)..la soluzione non consiste, a mio modesto avviso, nello studiare di tutto un po' per azzeccare una spiegazione RAGIONEVOLE. Forse la chiave matematica dell'interpretazione della dinamica di una crisi non sarà l'unica chiave giusta, ma almeno usiamo il mazzo delle chiavi che aprono le porte del palazzo dei misteri...

Ed è utile , poi, che i migliori economisti, come il Nobel Stiglitz del nuovo libro sui TRE TRILIONI di $ persi nella guerra in IRAQ, SPIEGHINO anche il presente e la storia dei disastri economici già avvenuti; ciò può essere umilmente utile a capire qualcosa di più del mondo pazzo in cui viviamo (e le cui biforcazioni caotiche sono spesso originate da sentimenti ed emozioni tipiche dell'uomo, dall'avidità degli speculatori ai deliri dei militari, dalle paure dei consumatori alle bugie dei governanti...). Secondo me, ci sono altre matematiche da utilizzare, ed altre visioni disciplinari da re-inventare per rifondare l'economia.

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