5 nov 2006

Precarietà e sviluppo: il grande rischio della demagogia


Manifestazione a Roma contro la precarietà del lavoro del 4 Novembre. Sfila anche la "sinistra radicale".
Dirò una banalità: l'occupazione, nelle sue varie forme (anche flessibili), dipende soltanto, a questo stadio della globalizzazione dei mercati, dalla crescita competitiva e da uno straordinario sforzo continuativo nei prossimi anni in materia di formazione continua e innovazione del "capitale umano" disponibile. L'abnorme ricorso "creativo" a centinaia di forme destabilizzanti (anche sul piano psichico!) del lavoro e della vita, tuttavia, non può essere cancellato da un mero atto politico-legislativo. Bisogna dire la verità alla gente, legge Biagi o meno. La sinistra cosiddetta "radicale" fa un pessimo servizio ai precari sotto i mille euro/mese che agitano bandiere rosse, chiedendo la "stabilizzazione" subito dei propri contratti (quando li hanno...!). A parte il fatto che sono semplicemente disgustato dagli slogan della manifestazione di Roma contro il neo-Ministro del Lavoro, trovo suicida una linea politica che incalzi il governo su una legislazione vincolistica del mercato del lavoro, e non punti piuttosto a regolare il "workfare": garantire il reddito nelle fasi di transizione da un lavoro all'altro, proteggere socialmente chi è o rimane senza lavoro, sviluppare la formazione continua di qualità per chi "sta a casa", premiare economicamente il lavoro flessibile e autonomo rispetto a chi sceglie il 27 garantito (e purchessia!).
Sono queste le cose di sinistra da fare, unite ovviamente ad una politica economica di sistema che liberi le forze produttive, con regole chiare (anche sui contratti di lavoro) per uno sviluppo "moderno", non certo per mantenere varie cappe assistenziali, nelle imprese e tanto più, colpevolmente, nelle Amministrazioni. La società liquida (per dirla con Bauman), dominata dall'incertezza, non si riforma per decreti legge, nè si solidifica creando spiagge artificiali; la flessibilità ha anche dei risvolti positivi per tanti giovani che vogliono cambiare lavoro, nuotare in mare aperto, rischiare...La legittima domanda di protezione sociale per i più deboli sta generando una cultura del "posto fisso" e del "sospetto" sul merito che rischia di inaridire ancor di più il terreno dello sviluppo. In un mondo che si rifiuta di valutare il merito (da quello universitario a quello del lavoro in azienda), che non insegna nuove sfide, ma si acquieta stancamente sulla "sopravvivenza" a scapito dell'innovazione sociale (oltre che sulla reiterazione del clientelismo), succede sempre di più che un bando per 10 posti pubblici (dovunque!) susciti almeno 10.000 domande di partecipazione, e che i neo-laureati dei superlicei italiani ambiscano più a un posto di vigile urbano che a iniziare un qualsiasi lavoro professionale. Così non va! E se la sinistra, che ha tuttora mille fondate ragioni per combattere lo sfruttamento, propone una visione da anni '60 della creazione artificiale di impieghi a vita, non ha capito nulla della società in cui vive, mettendosene non alla testa ma solo a rimorchio.

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