2 lug 2008

Virtual Box: programmatori perdenti?

Vintage programming: questo post  del bravo Granatella, intercettato per caso, due mesi fa, mi ha fatto conoscere un ambiente di virtualizzazione  (VIRTUAL BOX, non a caso acquisita da Sun) che consente, anche sul mio Air MacBook, di creare un ambiente LINUX completamente funzionale e che pesa soltanto 50 MBytes (Damn Small Linux!). Adesso succede, quindi, che con Parallels, per le esigenze  quotidiane, mi gestisco due partizioni (Leopard e XP), ma sotto l'OS X ho pure una macchina LINUX molto efficiente (ed appunto OLD STYLE, come ai tempi di quando programmavo io!). 
Devo confessare che pur venendo dai primordi dello SMALLTALK  per quanto riguarda la programmazione ad oggetti, e nonostante negli anni sia divenuto profeta delle architetture SOA, non sono mai riuscito a fare nulla di sensato come programmatore Java; mi limito a comprenderne la logica e riuscirei decentemente a seguire il lavoro dei veri operai, ma pur sempre come "architetto"... e siccome sono uno che però è intrinsecamente artigiano (ovvero un operaio-architetto), qualche volta provo io, direttamente,  a fare qualche  pezzo di codice; ma, allora, rispunta in me il vecchio fortranista, ed ecco che un ambiente LINUX (quasi come il VMS dei miei vecchi VAX) mi fa sentire davvero a mio agio. Certo! sono passato, da "ingegnere" - pur  poco programmatore - da molti percorsi tortuosi nei linguaggi  (Fortran, Pascal, C) tradizionali, ma anche da nicchie come il Lisp e il Prolog (nella robotica, ad es.), per arrivare anche a Java. Resto uno che le cose le vuole provare in prima persona, non ho mai creduto che si potesse dirigere chi scrive software non avendo mai debuggato un programma; come credo che un sistema e una rete di sensori presuppongano una certa dimestichezza con oscilloscopi e strumenti di misura, e che la robotica non sia soltanto la lettura dei romanzi di Asimov. Vedo troppi giovani freschi di master che credono di poter fare i project manager, A PRESCINDERE da contenuti  specifici, dalle tecniche ed esperienze vissute....insomma poche mani sporche e molte chiacchiere. E spesso - e non capisco perchè  ci si stupisca - quando c'è qualcuno che vuole fare il programmatore, lo si guarda con sospetto, come se la lontananza dalla praticaccia del programmare fosse una virtù da acquisire per "crescere".... ne conosco alcuni, di questi sospetti, che ci provano invece proprio gusto.  Dovremmo forse, sol per questo,  bocciarli come  ultime ruote dell'ingranaggio? Proprio il contrario: questi sono i talenti da coltivare e da non perdere, come avviene nel mondo anglosassone.

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